Oggi voglio trattare un argomento che difficilmente viene approfondito, forse perché rientra in quella lista di cose che “sì, più o meno so cosa sono e questo credo basti”, ma dato che si presuppone tu sia interessata (o interessato) alla scrittura, non puoi accontentarti di ciò che più o meno sai, ma devi approfondire.
Quindi, in questo articolo cercherò di aiutarti a capire bene cosa sono le figure retoriche e in quali categorie si differenziano, ma mi limiterò ad approfondire solo la prima categoria (perché di figure retoriche ce ne sono tante ed è bene dedicargli la giusta attenzione). Prossimamente vedremo anche le altre categorie, perché noi siamo scrittori e dobbiamo conoscere i nostri strumenti.
Iniziamo a definirle
Stando a ciò che dice la nostra amica Wiki per figura retorica si intende “… qualsiasi artificio nel discorso volto a creare un particolare effetto”.
Effetto! Non è forse ciò che desideriamo suscitare nei nostri lettori? Un super effetto?
Questo lo possiamo ottenere grazie alle figure retoriche, perché attraverso le parole creiamo un’immagine, creiamo appunto delle figure.
E sapete perché queste figure si dicono retoriche?
Perché sono state studiate e codificate dalla Retorica antica o “arte del dire”: una disciplina della cultura classica, greca e latina, nata nel V sec a. C. a Siracusa, che studiava appunto l’arte dello scrivere e del parlare in modo efficace e convincente. L’arte del persuadere insomma.
Le figure retoriche non sono passate di moda, anzi, vengono utilizzate molto nel nostro parlato quotidiano, perché lo arricchiscono e aiutano a rendere più efficace il messaggio che si vuole comunicare. Queste figure nel corso del tempo sono state utilizzate da scrittori e poeti per rendere le loro opere ancora più espressive e suggestive, e possiamo noi sottrarci a un’usanza che risale a molti secoli orsono e che è perdurata nel tempo sino a oggi?
Giammai!
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le 3 categorie principali
Secondo alcune stime, esisterebbero circa 300 tipi di forme retoriche nella lingua italiana. Tranquilla, non intendo illustrarteli tutti, infatti ci concentreremo su quelle più conosciute che meritano un’attenzione particolare.
Ecco le tre categorie principali in cui sono state suddivise tutte le figure retoriche:
- Le figure retoriche fonetiche: relative al suono o al ritmo che si percepisce quando si pronunciano.
- Le figure retoriche di contenuto: riguardano una modifica del significato delle parole.
- Le figure retoriche di costruzione: sfruttano l’ordine in cui le parole vengono utilizzate.
Come ti accennavo all’inizio, oggi inizieremo a vedere insieme solo la prima categoria. Troppe cose insieme non vanno bene, il troppo stroppia (questa è una figura retorica di suono, e più precisamente un’allitterazione, ma dopo la vediamo meglio).
Figure retoriche fonetiche
Le figure retoriche di suono, dette anche fonetiche, sono figure che tramite le variazioni e/o le ripetizioni di suoni donano alla frase una maggiore musicabilità e un maggiore effetto comunicativo.
Vediamone alcuni esempi:
- ALLITTERAZIONE: consiste nel ripetere lo stesso suono (spesso si tratta di una consonante, ma a volte anche di più lettere) all’inizio o all’interno di più parole che compongono la stessa frase. Ne sono un classico esempio molti scioglilingua.
“Trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando.”
- ASSONANZA e CONSONANZA: Queste due figure retoriche di suono sono forme di rima imperfetta.
Nell’assonanza (il cui significato è avere un suono simile) ci ritroviamo di fronte a due parole (poste alla fine del verso) che hanno le stesse vocali, ma consonanti diverse.
“pane e fare“, “gelo e vero“, “topo e moto“
Nella consonanza avviene lo stesso, ma con le consonanti.
“padre e leggiadro”, “fresca e casco”
- OMOTELEUTO: quando due o più parole terminano allo stesso modo o quasi (infatti la rima è un tipo di omeoteleuto che si verifica in fine verso).
“Chi si loda si imbroda“
- ONOMATOPEA: quando, attraverso il suono di una parola, si descrive o comunque si suggeriscono acusticamente determinati oggetti e azioni. Il significato di onomatopea è, sostanzialmente, “creazione di parole”. Qui dobbiamo distinguere le onomatopee primarie, ovvero
il termine o l’espressione che hanno la funzione di evocare un determinato suono (miao miao, che imita il verso del gatto, il bau bau, che ricalca l’abbaiare del cane, o etciù, che imita lo starnuto), dalle onomatopee secondarie, che invece portano significato. Tendenzialmente si tratta di verbi (miagolare, frusciare, ronzare), sostantivi (miagolio, fruscio, ronzio) o aggettivi (miagolante, frusciante, ronzante). L’onomatopea secondaria è anche detta artificiale.
Quindi, se anziché usare il termine gracidare, l’autore scriverà cra cra, avrà usato un’onomatopea (primaria).
- PARONOMASIA: consiste nel mettere vicino due parole che hanno un suono simile ma il cui significato è diverso, specialmente per mettere in risalto l’opposizione dei significati.
“Chi non risica non rosica“.
E su questo detto popolare mi fermo e vi do appuntamento al prossimo articolo, dove forse vi svelerò qual è la forma retorica che più di tutte prediligo!